Tra gli anni Ottanta e Novanta, il linguaggio giovanile è stato oggetto di intenso studio da parte dei linguisti; sono stati numerosi gli studi dedicati alla sua definizione e alla sua genesi. Dopo un periodo di relativo appannamento, la XXII Settimana della lingua italiana nel mondo, organizzata come ogni anno dal Ministero per gli affari esteri in collaborazione con la rete degli Istituti italiani di cultura, ha riportato il tema al centro dell’attenzione, anche grazie al volume Come scusa? Non ti followo, curato da Annalisa Nesi, pubblicato per l’occasione.

Tematica della Settimana della lingua italiana nel mondo 2022. Foto: Accademia della Crusca goWare. 

Il linguaggio giovanile ha conosciuto diverse fasi nella sua evoluzione; la sua origine può essere fatta risalire agli anni Trenta del Novecento, tracce ricostruite a partire dalla letteratura e dalle testimonianze personali dei linguisti, ma una vera e propria prima fase può esser fatta risalire al 1954, con la pubblicazione del romanzo umoristico Vitellini di città di Renzo Barbieri. Questo primo periodo di crescita del linguaggio giovanile, corrispondente anche alla grande crescita economica e sociale del Secondo dopoguerra, si chiude con la stagione del Sessantotto. Può sembrare quasi un paradosso che nel periodo in cui i giovani arrivano a prendersi la scena politica e sociale proprio il loro linguaggio peculiare subisca un rallentamento e una perdita di vitalità. Si spiega in realtà con l’assunzione da parte dei giovani, studenti e operai di un lessico politico molto rigido e calcato sulle forme della retorica socialista e sindacale.

Dovremo attendere gli anni Ottanta con una nuova fase di pace sociale, dopo la lunga e opprimente parentesi degli anni di piombo, per assistere a una nuova primavera del linguaggio giovanile. Ci troviamo di fronte all’esplosione dei gruppi e delle tribù urbane. I giovani seguono mode, attitudini, gusti musicali sempre più internazionali, li rielaborano e riadattano, ne adottano le forme espressive e la lingua. Tipica, invece, del solo contesto italiano fu la moda dei cosiddetti paninari: giovani medio-alto borghesi, che spendono cifre stratosferiche per inseguire un preciso codice di abbigliamento. Si ritrovano nei fast food e nelle paninoteche (da qui il nome) prima di Milano e poi a macchia di leopardo nel resto d’Italia. I paninari sono contraddistinti poi da un ricchissimo gergo tipico: parole come sfitinzie (‘ragazze’), cucador (‘ragazzi’), tamarri (‘persone rozze’), l’attrezzatura (‘vestiario’), e ancora espressioni come al brucio (‘alla svelta’), troppo giusto (‘qualcosa di bello’), una cifra (‘tantissimo’). Alcune hanno resistito nel tempo e sono diventate parte dell’italiano colloquiale di più generazioni, come essere fuori (‘essere pazzo’), tirare un pacco (‘dare una fregatura’), scazzato (‘annoiato’) e altre ancora.

Fino agli anni Duemila inoltrati ci troviamo insomma di fronte a una fase espansiva e di generalizzazione del linguaggio giovanile, che ormai si è diffuso in tutte le regioni e qui acquisisce forme peculiari dal contatto con le varietà locali. Più recentemente la lingua dei giovani è più fortemente influenzata dall’esperienza della rete, dalle possibilità di connessione continua con gli altri attraverso i social media e gli smartphone. Esplode così il lessico tecnologico, soprattutto di matrice anglo-sassone: a un verbo ormai classico come chattare, si affiancano i nuovi ghostare (‘sparire e bloccare la comunicazione’), memare (creare meme), spoilerare (‘anticipare il finale di un film/serie’), triggerare (‘provocare’).

I giovani con la loro vitalità e il loro dinamismo sono una forza creativa che agisce in modo così evidente sulla lingua, ma allo stesso tempo molto effimero: le parole, i modi di dire, le mode si avvicendano velocemente, spariscono a volte senza lasciare traccia, altre volte rispuntano fuori dopo anni. È anche il caso del parlare in corsivo, diventato una moda su TikTok, che tanto ha fatto discutere e divertire nel 2022. Un modo di parlare fortemente marcato, dal tono nasale, dall’allungamento delle vocali e da imprevisti dittonghi; un parlare un po’ snob, che imita la cadenza milanese. Si tratta puramente di un gioco metalinguistico, destinato a vaporizzarsi nel breve giro di pochi mesi, ma è stato trattato a volte con troppa serietà come se dovesse sconvolgere la lingua italiana.

Gli adolescenti oggi manifestano una voglia di sentirsi e vedersi raccontati per quello che sono, senza essere ridotti al lato più superficiale e appariscente. Anche nei testi dei giovani cantanti trap, genere ampiamente oggetto di polemica e contestazione per alcune sue derive violente o edonistiche, filtra il desiderio di descrivere paure, angosce, difficoltà relazionali. Solo un esempio tra i tanti possibili, estratto dalla canzone Solite pare di Sick Luke «Please, bro, don’t fuck with me, solo questo ti chiedo, mollami / Quando piango, gli occhi fanno tsunami / Forse perché è la luna che viene qui / Non ho paura di / Dirlo, non mento come i tuoi cani snitch». Nell’impasto linguistico, che mescola italiano e inglese, si affiancano stilemi del genere e metafore iperboliche, il cui senso generale è comunque quello di esprimere un disagio e una paura interiore, sfogata in un iperbolico tsunami di lacrime.

E queste ultime considerazioni ci danno forse la chiave di lettura del senso che ha lo studio continuo del linguaggio giovanile. Oltre al meritorio scopo di censire le fasi di una delle varietà della lingua italiana, ci ricorda sempre che uno sguardo alla lingua è anche uno sguardo ai contenuti e al mondo interiore dei giovani: osservarne i comportamenti linguistici è anche un modo per tenere vivo un contatto tra le generazioni, capire cosa anima gli adolescenti di oggi, quali siano i loro problemi e affrontarli in modo più aperto, senza lasciarsi trasportare da paure e stereotipi.

 

Paolo Orrù (PhD)

Ricercatore RTD-B – Linguistica italiana Dipartimento di Lettere, Lingue, Beni culturali Università degli Studi di Cagliari

Paolo Orrù (PhD). Foto: Università degli Studi di Cagliari.