FT Gianluca De Martino, conferenziere alla Società Dante Alighieri di Helsinki (novembre 2023), presentato dallo storico Antero Tammisto. Foto: Sini Sovijärvi

Questo scritto scaturisce dall’intervento da me tenuto durante l’incontro organizzato nel novembre 2023 dalla Società Dante Alighieri di Helsinki, a cui sono stato onorato di partecipare. La serata aveva come tema i risultati della tesi di dottorato del presente autore. L’argomento del lavoro è il culto della dea Era nella colonia greca di Poseidonia, la moderna Paestum, nella moderna regione della Campania, sul versante tirrenico dell’Italia meridionale. Il lavoro si concentra sul processo attraverso cui il popolo italico dei Lucani italici preservò e continuò il culto della dea dopo aver preso il controllo politico della città dai Greci tra il 420 e il 410 a.C.

Inoltre, in conseguenza della sua centralità nella vita della città, il culto di Era di Poseidonia/Paistom, ha funzionato, ai fini del presente lavoro, come una sorta di caso di studio per approfondire alcuni aspetti legati al multiculturalismo nelle pratiche di culto nel territorio pestano in quel preciso periodo storico.

 

L’Italia prima della conquista romana. Fonte: myDbook.it

 

La diffusione delle lingue e dei dialetti osci. Fonte: Wikimedia Commons

 

Nonostante che il culto della Era di Poseidonia sia stato al centro di studi approfonditi e di numerose pubblicazioni, vi erano alcuni aspetti della letteratura riguardante l’argomento che non mi soddisfacevano completamente. In particolare, le ricerche passate hanno analizzato per lo più il culto di Era pestana esclusivamente come fenomeno greco. I Lucani sono stati considerati solo come destinatari del culto a seguito di un processo di ellenizzazione “unidirezionale”, così negando o sottovalutando l’influenza dei Lucani sul culto e il ruolo che essi svolsero nel preservarlo fino al periodo imperiale romano.

Pertanto, per comprendere questo fenomeno, ho deciso di indagare se forse l’appropriazione del culto da parte dei Lucani avesse potuto risiedere nella natura stessa della Era posidoniate, e in caratteristiche specifiche della religione lucana. A questo scopo, ho seguito diversi percorsi di ricerca, risalendo, in prima battuta, all’origine del culto della dea nella Piana Argiva Orientale, cuore originario del popolo acheo, poi alla pratica del culto nelle colonie achee dell’Italia meridionale, e infine al culto di Era a Poseidonia durante il periodo greco.

Successivamente, ho studiato l’origine dei Lucani e il loro ruolo nel quadro culturale e religioso delle popolazioni osche di quest’area dell’Italia meridionale e la loro religione, includendo poi, come una sorta di ulteriore caso di studio, la figura della dea Mefitis, forse più la divinità importante della religione osco-lucana della, la topografia dei santuari di Era nel territorio pestano e lo stato del culto della dea in età lucana. Come fonti primarie di dati sono stati utilizzati i materiali archeologici, come figurine le votive fittili, la più diffusa attestazione materiale di pietà religiosa non solo a Poseidonia/Paistom ma anche in Lucania, e le caratteristiche topografiche e architettoniche di alcuni luoghi di culto.

Combinando le testimonianze delle tipologie iconografiche delle figurine fittili con la topografia e l’architettura dei santuari greci e lucani, il lavoro ipotizza che l’assorbimento del culto di Era fu un processo naturale per i Lucani, poiché da tempo avevano divinità che condividevano gli stessi attributi di Era nella loro stessa religione. Le prove archeologiche suggeriscono che il culto della Era di Poseidonia continuò e prosperò quando i Lucani presero il controllo della città.

Al periodo lucano sono, infatti, datati la maggior parte degli ex voto dedicati ad Era a Poseidonia. Greci e Lucani crearono una società multiculturale, che si rifletteva nella condivisione del culto religioso, tanto che non si può parlare di culti greci o lucani nel territorio di Poseidonia/Paistom in epoca lucana, ma piuttosto di un quadro religioso appartenente ad entrambe le culture. Il multiculturalismo di Poseidonia, però si riflesse non solo nel culto, ma in tutti gli aspetti della vita della città. Le prime presenze certe di comunità osco-lucane all’interno del territorio di Poseidonia sono testimoniate dalle sepolture della necropoli di Gaudo (500 metri a nord-ovest della cinta muraria, a partire dal 440 a.C.). Espressione più nota della presenza lucana sono le tombe dipinte degli individui italici delle classi sociali più elevate. Sullo sfondo di un territorio dove le varie etnie si fondevano ed interagivano, possiamo guardare forse con occhi diversi anche le splendide lastre litiche della Tomba del Tuffatore, una volta ritenute simbolo dell’arte funeraria greca, ma che racchiudono un sistema iconografico con elementi sia greci, che etrusco-campani.

La presa del potere politico di Poseidonia da parte dei Lucani viene generalmente datata tra agli anni che intercorrono dal 420 a.C. al 410 a.C. Il passaggio alla fase lucana fu un processo graduale e pacifico. Il nome della città cambiò da Poseidonia a Paistom, secondo l’idioma lucano. I dati archeologici ci mostrano una continuità nell’uso e nella frequentazione dei luoghi di culto. I santuari di età greca sono ancora in uso per tutto il periodo lucano. Inoltre, è dimostrata anche la continuità delle istituzioni politiche della città. La presenza di magistrati lucani nel corpo dell’élite politica locale è attestata della stele in lingua osca dedicata a Giove e trovata in situ nell’ekklesiasterion, la sede del consiglio politico già della città greca. Le monete della Paistom lucana mostrano per la prima volta altri dei di tradizione greca oltre al Poseidone già raffigurato in età greca.

Era viene raffigurata nelle monete di Paistom per la prima volta in epoca lucana. Monete con il nome inciso di Dossennos, un magistrato lucano che soprintese al conio, vengono prodotte dalla zecca locale. Le arti visive continuano ad essere per diverso tempo ancora prerogativa degli artigiani greci, ma questi si adattano anche ai gusti della popolazione lucana, sincretizzando elementi provenienti dalle due culture e andando così a creare forme artistiche peculiari della realtà pestana (vasi dipinti, coroplastica, oggetti metallici come le fibule).

L’Era di Poseidonia aveva le sue radici in quella particolare Era venerata nell’Argolide, nella Grecia continentale. Questa Era argiva era la dea protettrice della vegetazione e della fertilità, dal forte carattere ctonio (cioè legato agli inferi, ma anche ai cicli naturali della terra). Era era la dea protettrice della pianura, che proteggeva la fertilità dei raccolti, degli animali e degli esseri umani e le istituzioni civiche come il matrimonio e l’esercito. Era quindi una divinità che deteneva il patronato di molti aspetti che abbracciavano tutti i cicli della vita.

In Italia meridionale, tutte le più importanti colonie achee, come Crotone, Sibari, Metaponto e Poseidonia, sembrano aver condiviso la centralità del culto di Hera, che, nonostante alcuni locali differenze, possedeva la stessa vasta gamma di attributi dell’antico culto che ebbe origine nella pianura argiva orientale. Pertanto, per venerare i diversi aspetti della figura della dea secondo questa versione argivo/achea, si verificò una “duplicazione” del culto, attraverso la costruzione in ciascuna colonia di un santuario urbano e di almeno un santuario extraurbano. Quest’ultimo era spesso situato in prossimità di un corso d’acqua che delimitava il confine del territorio cittadino.

Quando i Sibariti fondarono la subcolonia di Poseidonia all’inizio del VI secolo a.C., fondarono contemporaneamente il Santuario urbano meridionale, dove si svolgeva il culto poliadico della dea, e l’Heraion presso Foce del Sele, situato appunto presso il fiume, che segnava il confine del territorio cittadino con i territori etrusco-campani ad esso adiacenti. A Foce del Sele, il culto era incentrato sulla venerazione di Hera come protettrice della fertilità e del parto. Un altro santuario attribuito ad Era fu fondato a Fonte di Roccadaspide, all’estremità orientale del territorio di Poseidonia. Il santuario era situato in un’area circondata da insediamenti locali abitato da popolazioni non greche. Gli abitanti di queste comunità avevano un ruolo attivo nel culto, forse perché il santuario venne istituito sul luogo del culto di una dea locale delle sorgenti. A questo proposito, il culto funzionava come mezzo di incontro tra i greci e le popolazioni non greche della zona. Queste relazioni erano caratterizzate dal commercio e dall’interazione religiosa e culturale, piuttosto che dal confronto militare.

La conquista lucana della città avvenne gradualmente e pacificamente. Ciò indica che i quasi due secoli di contatti tra la popolazione posidoniate e gli Italici intercorsi tra la fondazione della città e l’inizio della fase lucana furono contraddistinti dal rispetto reciproco. Il culto potrebbe aver giocato un ruolo decisivo in questo processo. Luoghi come Foce del Sele e Fonte di Roccadaspide potrebbero quindi aver funzionato come aree cruciali in ​​cui il contatto tra le culture favorì l’appropriazione e la modificazione del culto da parte dei Lucani.

Ho ritenuto che questa prima parte della ricerca fosse necessaria per definire la natura della figura della Era venerata nei suoi molteplici aspetti nel territorio di Poseidonia. Inoltre, era necessario comprendere le possibili ragioni della ricezione del culto tra le comunità locali non greche che circondavano la colonia. Le testimonianze raccolte suggeriscono che in periodo greco la figura della Era posidoniate fosse coerente con quella venerata nella versione acheo/argiva del culto della dea.

La definizione della figura di Era di Poseidonia apre la questione dell’appropriazione del culto da parte degli Italici, e in particolare dei Lucani che poi si impadronirono della città. I Lucani sorsero come etnia solo a partire dalla metà del IV secolo a.C., forse in conseguenza dello scisma dei Bruzi del 356 a.C., ma appartenevano alla famiglia etnica degli Osci, cioè a quel gruppo di popolazioni a cui appartenevano anche i Sanniti e i Campani. Pertanto, il rituale e l’organizzazione religiosa lucana devono essere analizzati con riferimento alla religione e al rituale osco. Negli ultimi decenni sono stati fatti grandi passi avanti nella conoscenza della religione e dei culti lucano. Sono stati scavati, almeno in una certa misura, diversi santuari. Ciò offre così la possibilità di stabilire i modelli più comuni di organizzazione dei santuari e dei rituali lucani. L’analisi della topografia dei santuari lucani, che beneficerà in futuro, auspicabilmente, dei risultati di ulteriori scavi, consente l’identificazione di diversi modelli di sviluppo e di caratteristiche topografiche e architettoniche riprodotte e sfruttate in quasi tutti i santuari conosciuti.

Nel periodo corrispondente ai periodi arcaico e classico greci, l’attività religiosa in Lucania sembra essersi svolta in strutture situate nei palazzi delle classi dirigenti, in aree destinate alle rappresentazioni religiose nei cortili dei palazzi, spesso sotto forma di piccoli sacella (piccoli recinti quadrati spesso che spesso delimitavano un altare o un’edicola votiva) o di santuari extraurbani in prossimità di corsi d’acqua. Dalla metà del IV secolo a.C. i santuari lucani sembrano seguire gli stessi schemi topografici e architettonici dei periodi precedenti, sebbene questi furono trasposti per gran parte al di fuori degli insediamenti, molti di cui di nuova fondazione. Questi centri abitati vennero costruiti in altura e circondati da poderose mura.

Come i predecessori extraurbani di età arcaica, i santuari lucani successivi furono costruiti in prossimità di corsi d’acqua e sorgenti, o talvolta le sorgenti v all’interno vennero incluse all’interno del santuario. Inoltre, questi luoghi di culto erano spesso situati in prossimità di boschi o zone ricche di vegetazione, forse per rendere possibile la messa in scena di rituali legati alla fertilità della terra. Inoltre, le caratteristiche architettoniche ricordavano l’organizzazione degli spazi di età arcaica, a volte includenti un sacello quadrato che ospitava la statua del dio, che veniva venerata presso il sacello stesso o, in assenza di quest’ultimo, uno spazio recintato, ma a cielo aperto, con un altare situato nel cortile del santuario.

Quest’ultimo comprendeva sale destinate al consumo di pasti rituali comuni e una cucina. La topografia dei santuari dimostra che questi furono progettati per soddisfare le esigenze dei rituali che si svolgevano all’interno dei complessi. L’acqua era un elemento essenziale dei rituali di purificazione e per raccoglierla e convogliarla venivano costruite cisterne, canali e bacini. La presenza di una sorgente in diversi santuari lucani indica come queste fossero incluse nei santuari proprio per far sì che si svolgessero rituali dove l’acqua aveva un ruolo centrale. Le testimonianze di doni ceramici e votivi provenienti dai santuari lucani suggeriscono che il pasto rituale comune, la combustione di incenso e di altri doni, e l’offerta delle primizie fossero rituali centrali nelle cerimonie religiose lucane.

Santuario di Mefitis a Rossano di Vaglio. Fonte: Colangelo et al. 2019

 

L’unico santuario lucano attribuibile ad una divinità specifica è quello di Mefitis a Rossano di Vaglio. L’attribuzione è stata possibile grazie alle ricche testimonianze epigrafiche che il santuario ci ha restituito. Mefitis aveva caratteristiche simili, tra le altre, a quelle possedute da Era posidoniate. La ricerca moderna ha dimostrato come Mefitis fosse una divinità associata alla protezione della fertilità, del parto, di tutti i cicli della vita, una dea agraria con forti connotazioni ctonie. Le testimonianze archeologiche forniteci dalle ricerche nei santuari lucani suggeriscono che in generale tutte le divinità della religione lucana avevano una particolare attenzione per la protezione del mondo agrario, della fertilità, e dei cicli della vita, oltre a possedere caratteristiche ctonie.

A Poseidonia/Paistom, i Lucani continuarono l’uso dei santuari greci, ma i dati archeologici suggeriscono altresì che durante il periodo lucano furono eretti molti edifici e strutture dopo la metà del IV secolo a.C., il che può suggerire che ciò fu fatto per permettere lo svolgimento di rituali religiosi originariamente lucani. Il principale cambiamento avvenuto nell’architettura dei santuari di Era in età lucana fu la costruzione di strutture senza equivalenti nell’architettura greca occidentale, come edifici quadrangolari spesso dotati di canali d’acqua per i lavaggi rituali o altri spazi adibiti a sale da pranzo per i pasti rituali comuni. Inoltre, portici costruiti per facilitare l’accoglienza e i movimenti dei fedeli all’interno delle aree sacre sorsero sia nell’area urbana che presso la Foce del Sele.

Santuario urbano meridionale di Poseidonia. Figura 2: Il Santuario urbano meridionale: Tempio enneastilo dedicato a Era (A); cosiddetto Tempio di Nettuno (B); altare dell’Enneastilo (C); Altare tardo arcaico del cosiddetto Tempio di Nettuno (D); Altare romano del cosiddetto Tempio di Nettuno (E); cosiddetto ”Orologio ad acqua”, probabilmente edificio dedicato ai pasti rituali comuni (F); Tempio di epoca romana nell’area dedicata ai culti ctoni (G); cosiddetto tempio italico (G); il cosiddetto Asklepieion (I); nella mappa, a sinistra dell’altare tardo-arcaico del cosiddetto Tempio di Nettuno è il complesso della ”Casa dei Sacerdoti”, possibilmente anch’essa dedicata ai pasti rituali comuni; a sud dello stesso altare, della ”Casa dei Sacerdoti”, e del cosiddetto Asklepieion è la fila dei tredici altari non riferibili ad alcun tempio, 12 dei quali furono eretti molto probabilmente in epoca lucana. Fonte: Mappa da Héra. Images, espaces, cultes. Actes du Colloque International de Lille (1993). Napoli, (1997)

 

Santuario di Hera alla Foce del Sele. Gli edifici settentrionali erano molto probabilmente ambienti usati per i pasti rituali comuni. Fonte: de la Genière 1999

 

Per quanto riguarda le pratiche rituali, l’incremento dei pasti comuni fu il risultato dell’arrivo dei culti ctoni nella Paestum lucana, o quantomeno dell’aggiunta di aspetti ctoni tipici dei culti agrari dell’entroterra lucano ai culti greci preesistenti. Le testimonianze archeologiche suggeriscono l’arrivo di pratiche religiose ctonie di origine rurale e lucana legate al pasto rituale sotto forma di reperti ossei legati a culti ctoni (cani, galletti), lo sviluppo di peculiari forme di incensieri (le ”Donne-Fiore”), e la presenza di fosse sacrificali e canali d’acqua associati agli altari. L’ipotesi di un’influenza lucana nell’incremento dei pasti rituali comuni è supportata dalle testimonianze ceramiche, che suggeriscono un forte aumento dell’incidenza degli utensili da cucina rispetto alle altre tipologie in tutti i santuari pestani durante il periodo lucano.

Per quanto riguarda la coroplastica, le iconografie delle figurine votive erano estremamente generiche in età lucana. Ad esempio, la statuetta più nota dell’arte coroplastica pestana, la dea in trono detta ”La Pestana”, prese in prestito il tema dell’immagine canonica della dea con la melagrana, presentando questa volta la divinità seduta, con in mano un cesto di frutta, un’immagine che si addiceva a diverse dee che proteggevano la fertilità e il mondo agrario. In questo senso “La Pestana” era una rivisitazione lucana della figura canonica dell’Era con la melagrana. Inoltre, è possibile che la genericità iconografica della “Pestana” fosse anche una risposta all’introduzione di caratteristiche simili nei culti e nelle figure di divinità diverse, che però gli stessi devoti vedevano come accomunate da molti tratti identici.

Potrebbe infatti essere questo il motivo per cui ”La Pestana” veniva dedicata nei santuari di divinità quali Afrodite, Demetra, Kore (Persefone) e Atena, che agli occhi dei fedeli del periodo lucano dovevano sembrare accomunate dai tratti di figure regali protettrici dell’abbondanza del mondo agrario simboleggiata dal cesto di frutta. Per lo stesso motivo figurine di questo tipo venivano esportate nei santuari dell’entroterra lucano e campano per essere dedicate a divinità, tra cui Mefitis, che affermavano la loro protezione sul mondo agrario.

A sinistra, statuetta di Hera con melagrana del periodo greco. A destra, statuetta del tipo della Hera pestana del periodo lucano. Fonte: De Martino 2019

 

A sinistra, incensiere del tipo Donna-Fiore. A destra, busto di donna. Fonte: De Martino 2019

 

Per quanto riguarda l’Era di Poseidonia, è possibile che la sua figura abbia perso i suoi tratti poliadici nel santuario urbano, allineandosi così al culto di Foce del Sele, dove mantenne il suo carattere di protettrice della fertilità umana, animale e vegetale. Inoltre, la figura della dea assunse una valenza ctonia più accentuata, come avvenne per alcune altre divinità di origine greca, come Atena e Afrodite, in conseguenza dell’influsso culturale e religioso italico e particolarmente lucano.

Credo che per avere una comprensione più completa della questione del multiculturalismo di Poseidonia/Paistom, la ricerca debba prendere in considerazione i diversi contesti socioculturali che ne hanno consentito lo sviluppo. In questo senso, ulteriori studi riguardanti gli aspetti multiculturali delle comunità dell’antiche Campania e Lucania potrebbero costituire un fruttuoso argomento di ricerca.

Credo che ci siano più pagine da scrivere sul culto di Era a Poseidonia/Paistom, e si spera che le future campagne di scavo che si terranno in quei territori, possano arricchire la nostra percezione sia di questo culto che degli altri culti della città, e della sua società multiculturale. Lo studio di Poseidonia/Paistom, del culto di Era e delle vite dei greci, degli italici e dei romani che vi abitarono, riserverà ancora altre sorprese, e forse anche importanti risposte, a chi le cerca prendendo in considerazione prospettive diverse.

Autore:

Gianluca De Martino, FT (PhD) (università di Helsinki)

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Il blog della Società Dante Alighieri di Helsinki, a cura di Sini Sovijärvi